Where Future Beats
Il futuro pulsa a Lagos. E a Milano

di Stefania Ragusa

Osborne Macharia è nato e vive a Nairobi. E’ un visionario che ha trovato nella fotografia lo strumento ideale per dare forma alle sue visioni. Gli ex manager e i leader politici, ormai pensionati, che girano l’Africa scoprendo angoli inediti ed esclusivi sono frutto della sua fantasia (cfr. la serie Nyanye). Così pure gli anziani convertiti all’hip-hop e trasformati in icone di stile (cfr. Kabangu). Per non parlare della nuova generazione di Mau Mau che inforca occhiali avveniristici ispirati all’artista/designer Cyrus Kabiru (cfr. Macicio).
Macharia immagina situazioni surreali, le porta in essere con l’estro e il rigore di uno stylist, le immortala come in uno shooting di moda, rendendole attraenti e seduttive. «C’è una componente ludica innegabile in questo modo di lavorare, ma non si tratta solo di divertissement», osserva Maria Pia Bernardoni. «La fotografia, usata in questi termini si rivela uno strumento potente di immaginazione e quindi di trasformazione.
La serie a cui il giovane artista sta lavorando adesso, per esempio, ha per oggetto un gruppo di anziane che, dopo aver praticato a lungo e per mestiere escissione e infibulazione, si ravvedono trasformandosi in paladine della lotta alle modificazioni genitali. Un’altra storia inventata, che nei suoi passaggi dischiude con chiarezza la possibilità di un futuro diverso».

 

Bernardoni è la curatrice di Where Future beats, mostra ospitata alla Casa del Pane in occasione del 27° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina di Milano e in collaborazione con Lagos Photo, il festival che Azu Nwagbogu (altro visionario niente male) ha lanciato nel 2009, conquistando in breve tempo una grande autorevolezza internazionale. «Abbiamo scelto artisti non ancora conosciuti in Italia. Volevamo dare un contributo e ampliare la visuale anche in questo senso». Infatti, con l’eccezione dell’ivoriana Joana Choumali, che ha partecipato a The Female Gazes, all’interno del Photo Vogue Festival lo scorso autunno, si tratta di nomi presenti in Italia per la prima volta: l’angolana Keyezua, impegnata sui temi femminili e sui riflessi della tradizione; Logo Oluwamuyiwa, autore di una rappresentazione di Lagos in bianco e nero e da prospettive inedite; David Uzochukwu, enfant prodige austronigeriano, che ha recentemente immortalato FKA twigs per il brand Nike.

 

«Ovviamente, abbiamo scelto lavori che fossero in sintonia con il tema della mostra: dove pulsa il futuro». Ma è la visione complessiva di Lagos Photo a essere orientata al futuro: «E’ un festival veramente autoctono, che non nasce dall’eredità coloniale o per effetto di una sollecitazione esterna. Allo stesso tempo, però, ha sempre avuto nell’apertura verso l’esterno e la pluralità la sua cifra autentica. Da un lato grande attenzione a incoraggiare l’originalità d’espressione, a non ricalcare gli schemi occidentali, a contrastare le immagini convenzionali, dall’altro porte aperte anche ad artisti non africani, ai loro punti di vista, a linguaggi fotografici differenti. Come elemento costante l’attenzione al territorio, la capacità di uscire dagli spazi tradizionalmente riservati agli eventi artistici e a un certo tipo di pubblico per incontrare la città». Pur non avendo sponsor istituzionali (e questo in fondo è un bene, perché ha garantito l’indipendenza), Lagos Photo è diventato un evento popolare che sta contribuendo in modo rilevante ad avvicinare molti i giovani alla fotografia». Non è stato facile. «Reperire i fondi è sempre un’impresa e in più scontiamo delle difficoltà materiali oggettive. Per esempio, quella di trovare uno stampatore di alto livello a Lagos. Ci dobbiamo rivolgere all’estero e questo fa sensibilmente aumentare i costi».
Per la prossima edizione, il tema scelto è Regimes of Truth, ossia l’esplorazione dei meccanismi con cui si tende a rappresentare la verità. Ancora un focus molto attuale, che tocca l’Africa come l’Occidente, e che ci proietta gioco forza in avanti.

   

foto (C) Dante Farricella 2017